Passaggio alla ZAD (https://zad.nadir.org/?lang=it)
Giugno 2018, più o meno un anno fa, con zaino in spalla e pollice in su si arriva alla Zone A Défendre di Notre-Dame-des-Landes (ZAD di NDDL). Ci si arriva perché il mese prima qui era stato portato sulla scena il volto più violento del sistema Stato, e gli echi arrivati dagli zadisti che si erano opposti ad uno sgombero che sapeva di attacco militare evocavano immagini ed odori di Resistenza.
La storia della ZAD nasce nel 1972 quando venne presentato il primo progetto per la costruzione di un aeroporto internazionale riguardante 1350 ettari di terreno. La motivazione ufficiale, era la necessità per Nantes, la grande città vicina a Notre-Dame-des-Landes, di avere un aeroporto internazionale, così da favorire lo sviluppo economico della città. Quella meno ufficiale comprendeva gli interessi della corporazione multinazionale Vinci, gestore del mega-progetto. Con la proposta dell’aeroporto, nacque anche un movimento di opposizione, motivato principalmente dal costo ambientale che tale struttura avrebbe imposto e sostenuta dalla logica che un ampliamento del già esistente aeroporto sarebbe stata una misura sufficiente per la città.
Dopo i primi due anni di confronti, la superficie del progetto venne ridefinita e decretata “zona a diversa destinazione” (ZAD: Zone d’Aménagement Différé). Nel corso degli anni il governo francese acquistò diversi ettari di terra nella zona ma molti agricoltori si opposero e decisero di non vendere i rimanenti mille ettari inclusi nel progetto dell’aeroporto, andando incontro al rischio di vedere espropriati i propri terreni. Nel 2000 fu così fondata un’associazione di abitanti e agricoltori della zona contrari al progetto che con un gioco di parole ridefinì la ZAD come Zone à défendre, battezzando un acronimo che in Europa diventerà simbolo di resistenza contro il Capitale, lo Stato e di difesa di una sovranità territoriale sostenibile e solidale.
Negli anni gli “zadisti” si sono colorati di molteplici idee, unendo ai contadini ed abitanti della zona, ecologisti, diversi movimenti sociali, studenti, migranti e lavoratori delle stesse ditte che avrebbero dovuto costruire l’aeroporto. E cosi, per 50 anni la ZAD di NDDL si è trasformata da pura resistenza e lotta a luogo di aggregazione, discussione, curiosità e soprattutto uno spazio libero e di sperimentazione di modi di vivere assieme alternativi e sostenibili per l’ecosistema uomo-natura.
Poi è arrivato il gennaio 2018 e la decisione del governo francese di abbandonare il progetto dell’aeroporto e di conseguenza l’ordine di sgombero della ZAD e di ritorno del territorio ad uso agricolo. Tale sgombero però richiedeva l’evacuazione di tutte le piccole comunità autonome che negli anni vi si erano sviluppate con progetti che si ponevano di fatto già al di là dell’opposizione all’aeroporto: rimessa a coltivazione delle terre abbandonate, sperimentazioni agricole, creazione di forni, falegnamerie, biblioteche...
Quando ci arriviamo io e Nathalie, è periodo di tregua. Tutta la parte est della ZAD era già stata sgomberata, le barricate distrutte, ed i pochi zadisti rimasti sulla zona cercavano di riorganizzarsi nella paura ed attesa di altre incursioni militari e lacrimogeni. Ci accampiamo più per caso che per scelta alla Wardine, dove la Deep Green Resistance è di casa e tra discussioni e risate impariamo a costruire bagni compostanti in vista di una settimana di “appello alla mobilitazione” per la ZAD.
A Bellevue, Pascal ci insegna a fare la Gogone (uno “Zamembert” DOC) e ci parla dei suoi dubbi sul cercare un accordo con il “Potere” per poter salvaguardare quello che fino ad adesso lì sono riusciti a costruire e del suo bisogno di pace dopo tanti anni di lotta. Un pomeriggio, passeggiando nella foresta di Rohanne e nella sua incredibile biodiversità incontriamo Gilles, zadista della prima ora, che cercava di ripiegare una griglia di ferro servita come parte di una barricata. Fermandoci ad aiutarlo veniamo ripagate con storie di rivoluzioni ed amori, ma soprattutto con una ricarica di buon umore e speranza: “c’è ancora molto da fare, e tanto meglio”.
Ma la lezione che più rimane piantata nel fondo dello stomaco la vivo tra gli anarchici di Liminbout, dove il modo di affrontare un’emergenza mi mostra e dimostra cosa può essere “Solidarietà”. E’ una domenica mattina e nella vicina Nantes hanno sgomberato uno squat di 200 immigrati irregolari. La notizia viaggia in fretta tra gli zadisti e così, proprio mentre ci affacciavamo al laboratorio bici del Liminbout, vediamo una decina di ragazzi animarsi di colpo e cominciare a discutere mentre si dirigono nelle dispense.
-“quanti siamo oggi?”
-“una decina credo”
-“un chilo di pasta basta no?”
-“ma anche mezzo, teniamo un po’ di pane e poi alla Wardine hanno il giardino di permacultura magari riusciamo a raccogliere qualcosa più tardi.”
All’inizio non capiamo, poi arriva un furgone e siamo tirate in mezzo ad una catena umana che ha lo scopo di riempirlo di cibo. Tutto quello che hanno nella dispensa. Tutto, tranne mezzo chilo di pasta, un filone di pane e qualche mela. E lì mi rendo conto che quello che si stavano chiedendo prima in modo cosi naturale era “cosa abbiamo davvero bisogno oggi?” per poter dare tutto il resto a chi ne aveva bisogno in quel momento. Ed in quel gesto, fatto con la naturalezza di una routine, crolla il concetto di proprietà, di stoccaggio, di individualismo per fare spazio a quello di una società veramente solidale. Parte verso Nantes il furgone ed i ragazzi sfollati, mentre io e Nathalie ci sediamo con Eva per cercare di riparare qualche tenda distrutta da trasportare in serata se non c’è possibilità per una nuova occupazione.
Siamo rimaste una settimana in questo laboratorio di ecosistemi diversi ed ho capito l’importanza della sua esistenza e dell’esistenza di altri posti che come questa ZAD devono essere difesi in Europa e nel mondo, luoghi dove come specie umana possiamo preparare e studiare il cambiamento che necessitiamo mettere in atto. Perché come si può leggere alla biblioteca della Rolandière:
“Ce n’est pas l’unité. C’est la solidarité.
…
Ce ne pas UNE stratégie prétendu commune. Ce sont DES tactiques diverses qui produisent un rapport de forces.
…
C’est rire de nous, rêver haut, s’enthousiasmer, gagner, perdre, gagner encore, rencontrer, trouver et créer les brèches, occuper et défendre ensemble des zones qui rendent tout cela possible.”